Il mio Benin
di Antonella Annovazzi
Arriviamo alla cooperativa ArtiSavon: Rufina, la responsabile, è una bella
donna eccezionale, ti trasmette senso di sé, calma, forza, sapere, saggezza,
vita, sacrificio e lotta allo stesso tempo, dignità e eleganza immense. E
forza di speranza! Tutto comunicato dal volto aperto, sorridente e serio
insieme, consapevole. Un vestito verde/blu a disegni oro/arancio e un
portamento da regina/donna/madre..
All¹ombra degli alberi, baracchette di mercanzia, donne con il loro grande
catino di alluminio pieno di cibi o vestiti, sedute, silenziose, in attesa;
lungo la strada, “negozietti” che vendono di tutto: scarpe, galli, polli,
pomodori, materassi, ventilatori, vestiti, stuoie, bottiglioni di benzina,
cibarie varie. Se un piacere vedere uscire la gente vestita a festa nel
grande cortile della chiesa, papà e bambinetto in completo blusa/pantaloni
uguali, rosso scuro e panna a disegni geometrici, e poi bou-bou verdi,
arancio, rosso, oro, blu, azzurro, giallo, composti e mescolati insieme in
un’armonia allegra solo africana. Fuori dalla chiesa povere venditrici,
sempre dignitose, vendono oggetti vari.
Arriviamo a Ouidah, sulla piazzetta andiamo ad abbracciare il baobab, un
abbraccio di 6 persone! Poi alla zona del mercato degli schiavi gestito dai
neri, da qui la strada per 4 km. fino all’imbarco al mare: una strada che,
per milioni di persone fatte schiave, porta allo sconosciuto e alla perdita
della propria identità, in un altro mondo, in Brasile. Ai lati piantagioni
di palme da cocco, il lago, un bel paesaggio, calmo e silenzioso, se non
fosse per il carico di sofferenza e morte che questa strada racchiude. Più
avanti, l’albero del ritorno dello spirito, lo schiavo gli girava attorno
tre volte, se poi fosse morto in mare, il suo spirito sarebbe tornato alla
sua terra .in fondo la spiaggia dorata, il mare, il vuoto, di là il
Brasile.
In viaggio per Natitingu: pochi villaggi, fermata dell’autobus Africanlines:
rotaie di un treno che non si sa se passerà ancora, venditori ambulanti,
biscottini al profumo di forno a legna. Si riparte. Alberi senza foglie ma
con l’allegria dei fiori color arancio vivo, qualche albero dai fiori
violetto/lilla, è l’albero di karité. Il paesaggio, qui a nord, è cambiato:
in certi punti pietre scure e l’argento dei baobab, il paesaggio è più
forte, spigoloso e selvatico. Poi torna il piano, più brusse, alberi e
villaggetti: granai circolari, tetto in paglia grigio scuro, otri con
“cappelluccio” di paglia, campi di “panettoncini” di terra: custodiscono la
nuova semina dell’igname. Spesso il villaggio è un grappolo di sei, sette
case, attorno a un grande albero, qualche pentolone nero, catini
scintillanti in alluminio; qualche utensile, qualche capra, sono la
cucina/cortile di casa e insieme piazza del villaggio. Sogni tanto qualche
baobab amico. Mi piace proprio questa terra d¹Africa, sprigiona energia dai
suoi alberi, dal colore della sua terra, dal sorriso e dagli occhi dei suoi
figli. Non importa se è un po’ faticosa. Si fa amare e ti ama.
Ormai quasi a Natitingu savana, termitai, e la sorpresa dei campi di cotone,
le case-castello dei tata somba. Colori: rosso, sinfonia di bruno, oro
acceso e spento della paglia, argento dei baobab, verde. Manca l’azzurro del
cielo, sognato, è solo un vago azzurrino/grigio, sfondo neutro!
Al parco nazionale tantissime piante di karité dal tronco tanto rugoso da
sembrare sezionato a mosaico, strada rossa, castelli di termitai rosso
bruni, per terra fiori gialli, gemme d’oro, sparse lungo la pista a
contrasto del bruno e del grigio fumo del terreno bruciato: gemme preziose
di vita e di bellezza; cominciamo a vedere delle antilopi, un’aquila, poi,
su due grandissimi baobab due famigliole di babbuini, coi piccoli sulla
groppa, che mangiano avidamente i frutti del baobab e ne buttano a terra i
gusci e poi un elefante, grande, vicino alla strada, ci guarda, pare
perplesso e indeciso, due orecchione enormi svolazzano a ventaglio, ha una
zanna spezzata, è vecchio, ci dice la guida, potrebbe avere cento anni.
Decide che siamo innocui, si gira mostrandoci il sedere e con un gesto
elegantissimo della proboscide si prende due o tre foglie dalla cima
dell’albero.
Proseguiamo verso l’uscita del parco e cerco di riempirmi gli occhi e il
cuore di queste immagini/sensazioni così belle che questo parco mi sta
regalando. Ed è un’uscita in bellezza, per i colori, che poco a poco prendono
definizione e vigore e per l’incontro con un enorme elefante maschio che sta
pacificamente strappando un pezzo di tronco d¹albero con la proboscide per
poi infilarselo in bocca.
Ho provato a calarmi nella realtà di un paese con spirito di apertura e con
disponibilità, a non pormi come “chi deve dare”, ma come chi può imparare
molto. Quanti regali mi ha fatto questa madre Africa, a me, piccola figlia
del “primo mondo”.