Nicaragua
di Roberto Cuda
Siamo arrivati a Managua a notte inoltrata, assaliti dal caldo umido tipico di quella zona. La città non corrisponde all’idea che normalmente abbiamo di una capitale, sia pure latino americana. Al mattino le sensazioni sono più forti. La gente, le strade e le case ci portano bruscamente nelle realtà nicaraguense, dove colpisce la povertà diffusa. Singolare è che a Managua non esistono i nomi delle vie: per orientarsi ci si serve di punti di riferimento esterni, come un albero o un cinema. Qua e là sopravvivono simboli rivoluzionari, primi fra tutti il “general” Sandino e Che Guevara, accanto a Coca Cola e McDonald, segno che non è morta la voglia di riscatto. Durante il nostro giro ci accorgeremo che la speranza vive in una miriade di iniziative di base, associazioni, cooperative e sindacati. Ci accorgeremo anche che la gente è eccezionale, suscita immediatamente simpatia. Il primo giorno visitiamo Dos Generationes, associazione per il recupero dei ragazzi in un barrio poverissimo, dove il problema principale è legato alla vicina discarica, che attira centinaia di bambini in cerca di qualche oggetto da rivendere o riutilizzare. Tra i carri trascinati dai buoi passiamo lentissimi con il nostro pulmino (che ci accompagnerà per tutto il viaggio) sotto gli sguardi incuriositi dei bambini, che smettono per un attimo di giocare. Dopo l’incontro saranno loro ad avvicinarsi e a chiedere una foto.
Esperienza simile la vedremo a Leon, presso l’associazione Las Tias, che nel quartiere del mercato (noto per la malavita diffusa) ha creato una comunità per adolescenti e una scuola per bambini più piccoli. Ci accompagna nella nostra visita Corinne, energica educatrice e fondatrice del centro, che racconta le difficoltà di quel quartiere e il totale disinteresse del governo in carica, che continua nelle sua politica di privatizzazione dei servizi.
Dal caldo soffocante di Leon passiamo il giorno dopo al caldo di Poneloya, sul mare, per passare poi al clima finalmente fresco di Esteli, in montagna. Qui incontriamo Eric, sindacalista ventisettenne dell’ATC, il sindacato agricolo, che ci porta a visitare una fabbrica di tabacco alla porte della città, esempio delle condizioni nelle quali vivono comunemente i lavoratori in Nicaragua. Il clima nelle stanze di lavorazione (senza finestre) è soffocante e quando vengono accesi i forni raggiunge anche i 50 gradi, mentre le esalazioni delle foglie in essiccazione rendono l’aria irrespirabile. Ma lavoratori e contadini talvolta si organizzano, uniscono le forze e cercano di rispondere con esperienze alternative al sistema dominante. E’ il caso dell’Uca, l’Unione delle cooperative agricole di Miraflor (un’area di circa 200 kmq nei pressi Esteli destinata a riserva naturale) che cerca di diffondere i principi dell’agricoltura biologica e della diversificazione delle coltivazioni, per garantire la sussistenza in caso di scarsità di un prodotto. Arriviamo alla piantagione di caffè dopo un’ora di camion su strada sterrata. Nel paese la crisi del caffè ha raggiunto livelli allarmanti. Mentre sul mercato internazionale un quintale di caffè viene acquistato a 45 dollari, i costi di produzione arrivano a 80 dollari. A salvare la situazione sono alcuni importatori della rete del commercio equo e solidale, che comprano il prodotto a 141 dollari al quintale. Per finanziarsi le cooperative si appoggiano ad una ong tedesca e ad un fondo costituito dagli stessi contadini. Gli stessi principi sono applicati da altre comunità nel paese, che si stanno lentamente affrancando dai vincoli (e dai danni) dell’agricoltura intensiva monoprodotto. Come una comunità agricola nei pressi di Nandaime, sostenuta dall’associazione Nochari, che appoggia la comunità sul piano agricolo e sanitario. Un’attivista ci accompagna nella visita all’interno del campo, dopo un viaggio piuttosto accidentato sul fuoristrada dell’associazione. Qui si coltiva un po’ di tutto, cetrioli, zucchine, peperoni, limoni, papaya, banane e molto altro: questo permette di diversificare l’apporto nutritivo alle famiglie della cooperativa e tutelarsi nei periodi di crisi.
Prima di arrivare a Nandaime, nei pressi di Granada, ci fermiamo due giorni a Matagalpa, ospiti del Colectivo de Mujeres, una comunità di donne attiva soprattutto sulla tematica dei diritti della donna e dell’assistenza legale e sanitaria. Matagalpa è sicuramente la città più povera. Accanto a supermercato con ogni ben di Dio sono molti i bambini che chiedono l’elemosina, soprattutto nella piazza principale, dove molti si riuniscono per fare i lustrascarpe. Ma il problema più grosso è sicuramente l’acqua, che scarseggia in tutta la zona. Dove siamo alloggiati per lavarsi occorre attingere con i secchi dalla vasca dell’acqua piovana. Alla sera partecipiamo alla festa delle brigata di Italia-Nicaragua, che festeggia la chiusura del campo di lavoro. Tre ore di balli sfrenati che ripagano soprattutto alcuni membri del nostro gruppo, fin dal primo giorno alla ricerca (vana) di locali per ballare. La sera dopo saremo a mangiare da Gianni, amico di Luana (italiana da 14 anni in Nicaragua e fondatrice del Colectivo, che al mattino ci ha illustrato l’attività del centro), presi da nostalgia per il cibo italiano. Va detto d’altra parte che il cibo nicaraguese è sempre stato ottimo e abbondante, oltre che economico.
Il giorno dopo arriviamo a San Juan del Sur, sull’oceano pacifico, dopo l’ultimo tratto di strada sotto una pioggia battente. San Juan è all’interno di una piccola baia, dal mare calmissimo. Qui trascorreremo due giorni di riposo assoluto, gustando i sapori della zona (pesci di tutti i tipi cucinati al meglio). Seguirà il soggiorno ad Ometepe, isola nel lago di Nicaragua ricchissima sul piano naturalistico. In tutto il Nicaragua la natura è generosa, non ancora aggredita dal turismo di massa. Ci sono riserve dove la foresta sembra incontaminata, come ad Ometepe o sul Vulcan Mombacho, vicino a Granada. Ogni albero porta con sé decine di altre specie vegetali, che assorbono l’umidità del sottobosco e insieme formano una trama inestricabile, rifugio e nutrimento di altrettante specie animali, che alimentano a loro volta quell’equilibrio perfetto. Francamente non mi aspettavo di vedere tanta attenzione al rispetto dell’ecosistema, a partire dalla diffusione dell’agricoltura biologica.
Ed eccoci a Granada, sicuramente la città meglio curata. Le strade sono pulite e le facciate delle case curate, come anche locali, ristoranti ed alberghi, alcuni dei quali fin troppo di lusso. Da qui partiremo il giorno dopo per andare nella comunità agricola appoggiata dall’associazione Nochari, per poi passare gli ultimi giorni a Managua, alloggiati nello stesso albergo dell’andata. Qui ci aspetta l’incontro con Pedro Ortega, Coordinatore del Sindacato Tessile appartenente alla CST-JBE, il sindacato sandinista, che ci spiega le condizioni di lavoro nelle “zone franche”, vaste aree dove le grandi imprese non pagano tasse. L’invadenza delle grandi imprese occidentali si tocca con mano camminando per le vie di Managua. Tra le più visibili spiccano Coca Cola, Pepsi, McDonald’s e Parmalat (che detiene il monopolio del latte, attualmente al centro di una protesta per aver aumentato ingiustificatamente il prezzo di questo bene primario). A parte i cartelloni pubblicitari, che spuntano ovunque ai lati delle strade, le sponsorizzazioni non risparmiano nemmeno le fermate degli autobus e le campagne delle amministrazioni comunali. Ad invitare i cittadini a tenere pulita la città, infatti, non è il comune, ma la McDonald’s, che finanzia la campagna. Nelle zone franche producono per l’esportazione molte imprese americane, coreane e taiwanesi, che violano quotidianamente i diritti più elementari dei lavoratori, nell’80% donne.
A chiudere gli incontri è Victorino Espinales, leader dell’Asotraexdan, l’associazione degli ex lavoratori delle piantagioni di banane, oggi alle prese con gli effetti del Nemagon, un potente pesticida utilizzato fino ai primi anni ’80 dalle multinazionali del settore (tra cui Chiquita, Dole e Del Monte) nonostante i divieti già introdotti in territorio statunitense. Oggi l’Asotraexdan sta portando avanti una causa contro le imprese responsabili, sostenuta da quasi 4000 denunce, grazie ad una legge approvata a fine 2000 a seguito di forti pressioni della società civile.
Gli ultimi due giorni sono dedicati ai mercati, dai quali alcuni torneranno in Italia con un bagaglio in più. Incontenibili su questo fronte, inutile dirlo, soprattutto le donne. Dall’alto del vulcano Masaya, ultima escursione prima della partenza, c’è una vista bellissima. Il cielo è limpido e con lo sguardo si riesce ad abbracciare quasi tutto il paese, verdissimo. In lontananza altri vulcani, immersi nelle nubi. Non sembra vero che fino a pochi anni fa su questa terra si combatteva una guerra. Mi vengono in mente i volti e i luoghi incontrati. Mi riesce difficile fare un bilancio o dire qualcosa di definitivo. Posso dire che i congedi per me sono sempre molto difficili. Lo è quello con Giorgio, nostro accompagnatore ed amico, che tuttora ci tiene informati su quello che succede in Nicaragua. Lo è il congedo con questa terra, che dopo l’impatto non facile dei primi giorni è riuscita in poco tempo a darci la dimensione della speranza e della voglia di riscatto. Sicuramente lo dicono i volti che abbiamo incontrato, la musica, le contraddizioni e le esperienze che abbiamo respirato, dai quali è molto facile essere conquistati.
P.s. Per chi vuole saperne di più sul Nicaragua e sulle battaglie che si stanno portando avanti visitate il sito dell’Ass. Italia/Nicaragua con cui Pindorama collabora www.italianica.org