Nicaragua a lume di candela
di Roberta Gaeta
Fa buio presto in Nicaragua. Alle 6 del pomeriggio è già notte fonda. Notte profondissima e senza luce, perché la crisi energetica costringe agli “apagón”,cioè i black out programmati. A turno, secondo diverse fasce orarie, tutti i quartieri si spengono. La gente si arrangia come può: i supermercati dei nica-ricchi hanno un generatore interno, e il tintinnio delle casse si ferma solo per un attimo, poi tutto torna normale, il nica-ricco si fa imbustare in 150 buste diverse (ciascuna per ogni prodotto) tutte le sue compere, si fa strisciare la carta di credito (le banche fanno a gara per regalare carte di credito e la gente si fa strozzare dai tassi creditori) e se ne va verso la sua automobile, con il commesso del supermercato in divisa che diligentemente lo accompagna spingendogli il carrello della spesa. Nel parcheggio, a guardia della sua “super car”, trova il vigilante (ci sono più guardie nei parcheggi dei supermercati che piantoni davanti il palazzo presidenziale), probabilmente il Suv e il suo contenuto fanno gola alle decine di ragazzini di strada che si aggirano nei dintorni chiedendo l’elemosina.
Nel resto dei quartieri non ci sono generatori, le “pulperie” (empori venditutto) chiudono presto, d’altronde non c’è molta gente in giro, con il buio. I ristorantini (quelli che lavorano con i turisti “fai da te no alpitour”) si adattano con le candele, e le candele sono il primo bene prezioso che compriamo, (non c’era scritto nella lista di viaggio, accidenti!). Nel tempo di una candela beviamo birra e rum, leggiamo tarocchi, cantiamo canzoni, filosofiamo in dibattiti politici ed esistenziali, cercando di godere fino all’ultimo barlume di luce, e poi tutti a dormire, accompagnati solo dalla pioggia e dal frusciare e strisciare sospetto di misteriose forme di vita animale e vegetale.
Gli “apagón”,d’altra parte, sono un problema cittadino, in altre zone non ci si pone nemmeno il problema: la linea elettrica non arriva. A Miraflor e a Sonzapote (riserve naturali dove cooperative di campesinos si stanno organizzando in progetti di turismo rurale comunitario) ci sono pannelli solari, donati da progetti di cooperazione, ma è inverno e di sole ce n’è poco, bisogna salvaguardare il poco di energia e stabilire le priorità nel suo utilizzo.
Insomma è proprio buia la notte in Nicaragua, le nuvole coprono le stelle e la luna nuova non ce la fa a schiarire il cielo, però cresce, giorno dopo giorno, e alla fine del nostro viaggio ci saluta quasi piena.
Il buio che domina la notte nicaraguense assomiglia al buio della memoria che avvolge il paese. Percepisco in quasi ogni luogo e ogni momento l’abbandono e il disinteresse rispetto al passato, dalla cattedrale di Managua, semidistrutta dal terremoto del 1972 e lasciata là, a troneggiare solitaria nella piazza in attesa di un restauro, alle carceri somoziste di Coyotepe, abbandonate all’incuria e ai saccheggi (ora però da qualche anno gli scout ne hanno assunto la vigilanza, e, in maniera del tutto volontaria, cercano di preservarne la conservazione e ricostruirne la memoria), ai petroglifi e alle statue precolombiane, disperse nella foresta e lasciate in balia dei segni del tempo, dei giochi dei bambini e, probabilmente, alle ruberie e agli sfregi dei turisti. Sembra quasi che il passato non appartenga a questo popolo, che la memoria sia un peso troppo gravoso da sopportare e troppo costoso da preservare. È difficile pensare che qui, solo 20/30 anni fa, si sia combattuta una rivoluzione, è difficile pensare alle conquiste civili e sociali, quando tutto intorno si vedono solo baracche di lamiere in mezzo al fango, una povertà pervasiva e i segni dominanti dell’impero e del colonialismo nordamericano. Impressionante è l’uscita (al buio, anch’essa) dalle “maquilas” della zona franca vicino Managua: migliaia di operai/e fantasma, che lavorano in fabbriche fantasma,in una terra di nessuno, dove non vige nessuna legge e nessun diritto, né nazionale né internazionale. Le maquilas sono le fabbriche in cui vengono assemblati prodotti (generalmente tessili) destinati all’esportazione, sono enclavi private in terra straniera, esenti da tasse, esenti da legge, utilizzano manodopera a basso costo e non contribuiscono in nessun modo allo sviluppo del paese. Assorbono energia e forza umana e restituiscono al territorio rifiuti tossici e veleni.
Tutto ciò che è stato costruito nel passato sembra cancellato: dell’opera di alfabetizzazione realizzata dai sandinisti rimane traccia solo nelle cartoline per i turisti, per il resto c’è la realtà di una scuola in cui maestri, con stipendi da fame, sbarcano il lunario “taglieggiando” gli alunni ( o paghi o non fai l’esame), dove tanti bambini non possono permettersi di andare a scuola perché non possono pagare la divisa e i libri. (Il primo intervento del nuovo governo Ortega è stato quello di ristabilire il principio della completa gratuità dell’istruzione scolastica).
Voglio sperare che la notte della memoria sia solo frutto di un lungo “apagón”, e che presto torni alla luce il ricordo di quello che era stato conquistato. Il cielo è coperto, ma dietro alle nuvole brillano ancora le stelle. Ce ne accorgiamo ogni tanto, quando improvvisamente si accende una fiammella: il bambino incontrato nel Museo de Las Madres de Los Heroes, ad Esteli, che recita fiero tutto d’un fiato un poema di Ruben Dario e ci racconta la storia dei suoi due zii, trucidati dalla contra e buttati dentro il vulcano. È appassionato di vulcani, ce li elenca tutti, compreso le loro altitudini e le loro eruzioni, immagino che fantasie spaventose possa essersi creato, ascoltando i racconti della nonna. Ma lui è lì, insieme a lei (madre degli eroi) a fare la guida al museo e preservare la memoria dei morti per la libertà. Va bene a scuola ed è orgoglioso di mostrarci il suo quaderno. E poi i ricordi, inarginabili come un fiume in piena, sussurrati dal “Padre”, campesino entrato nel Frente all’età di 13 anni, ora appartenente alla comunità di Sonzapote, sull’isola Zapatera, dove si è rifugiato negli anni ’90 con tante altre famiglie provenienti dal nord per sfuggire alle rappresaglie e alla repressione post guerra operate dalle armate paramilitari legate alla Contra. O l’orgoglio della guida che ci accompagna alla Finca Magdalena (Isola di Ometepe), nel raccontarci la nascita della loro cooperativa e il modo in cui sono diventati padroni della terra che coltivano. E poi tutte le persone che abbiamo conosciuto nei nostri incontri “ufficiali”: l’educatore di Dos Generaciones, associazione che lavora con i bambini della discarica di Managua, che rivendica con forza :“noi non siamo un paese povero, siamo un paese impoverito”; l’energia vulcanica de Las Tias, le 8 signore del Mercato di Leon, che quasi 20 anni fa decisero di affrontare il problema della delinquenza minorile che affliggeva il mercato e le loro attività commerciali, creando servizi educativi e di assistenza, anzichè affidarsi alla forza repressiva della polizia, e ora gestiscono un centro modello, con progetti diversificati e la sperimentazione del microcredito; il collettivo delle donne di Matagalpa, che offre medicine, servizi ambulatoriali,educativi e sostegno psicologico alle donne delle zone rurali.
Quasi tutte le persone che abbiamo incontrato ci hanno detto: ora con il nuovo governo qualcosa sta cambiando (Ortega è tornato al governo nel gennaio 2007), alcuni lo hanno pronunciato con determinazione, altri con speranza, altri con maggiore disincanto o denunciandone le criticità. Ortega è al governo, ma non ha la maggioranza in parlamento, il suo quindi è un lavoro di equilibrismo politico. Forse non potrà e probabilmente non vorrà fare molto, speriamo almeno che ravvivi la fiamma della candele, e riaccenda la rivincita della memoria.
E noi , turisti responsabili, catapultati nella notte nicaraguense dall’illuminatissimo e rumorosissimo “primo mondo”, abbiamo subito un salutare “apagón” culturale: la luce della candela ci ha costretto a sederci vicini, a camminare piano, nel cono di luce diffusa, ad abituare la vista al chiaroscuro e alle forme deformate, ad ascoltare il silenzio e ad immaginare la vita che si muove e cresce nel buio. La penombra ci ha costretti ad abbandonare le nostre certezze e ad affinare le capacità ricettive, a scorgere il pieno dei momenti “vuoti” e il “vuoto” dei nostri momenti pieni.
La luce accecante e artificiale dei supermercati, che resiste ad ogni “apagón”, non rende giustizia al Nicaragua, il suo fascino malinconico ci ha conquistati a lume di candela.